
16 Mag NUTRIZIONE E METABOLISMO DEI GRASSI NELLE VACCHE DA LATTE
Organizzato dal Centre for Animal Nutrition si è tenuto a Wageningem in collaborazione con la stessa università di Agraria ed il centro di ricerche di Lelystad un simposio internazionale sulla vacca da latte incentrato sul metabolismo lipidico. Presenti 80 tra docenti, ricercatori e tecnici per lo più europei ma anche americani ed un coreano.
La sessione del mattino ( I) era incentrata su come impedire la trasformazione degli acidi grassi contenuti nei foraggi somministrati con la dieta, sia durante la raccolta e l’insilamento dei foraggi sia durante l’attacco batterico e la bioidrogenazione che avviene naturalmente nel rumine.
Questo al fine di aumentare il contenuto in acidi grassi polinsaturi del latte, rendendolo più simile all’acidogramma dei foraggi che la bovina ha ingerito.
Dopo aver ricordato che la vacca è un idrogenatore naturale e che quindi diminuisce naturalmente il valore biologico dei grassi ingeriti perché né diminuisce la loro digeribilità, si è relazionato su come, attraverso differenti processi e procedimenti, si possa proteggere gli acidi grassi insaturi che l’animale ingerisce od ingerirebbe con una naturale dieta verde, vale a dire al pascolo.
In definitiva, siccome in umana la dieta è troppo ricca di omega 6 rispetto agli omega 3, ci si prefigge di produrre un latte più dietetico con il quale poter anche ottenere un maggiore valore commerciale dello stesso.
La sessione pomeridiana ( II ) è stata molto più scientifica ed incentrata sulle tecniche di biopsia epatica. Tale tecnica è in grado, se supportata dalla susseguente PCR e da una dettagliata meta-analisi, di validare uno schema di ricerca per evidenziare l’accensione o meno dei geni attivatori di RNAm e quindi di enzimi con specifiche funzioni metaboliche o fisiologiche. In particolare, si è studiata l’attivazione e la regolazione dei legandi dei PPaR in grado di attivare i perossisomi nelle vacche da latte, cioè il bi-turbo metabolico cellulare delle stesse.
Sessione I
Il primo relatore, j. Cone dell’università di Wageningem, ricorda che la bovina ingerisce grosse quantità di acidi grassi insaturi nelle naturali razioni al pascolo con l’apporto di foraggio verde. Questi acidi grassi sono costituiti per lo più da acido oleico ( C 18: 1 cis-9), acido vaccenico ( C18:1 trans-11 ), acido linoleico coniugato ( CLA; C 18:2 cis-9, trans-11) e acido linolenico ( C18:3).
Il foraggio durante l’insilamento perde parecchi insaturi per effetto della lipasi batterica che avviene naturalmente all’interno della massa dando ossidazione degli insaturi.
Anche lo stadio di maturazione influenza il contenuto in PUFA: il massimo contenuto è stimato in insilato di granoturco 56 giorni dopo la fioritura, poi scema. Anche la durata del processo di insilamento è direttamente proporzionale alla perdita di PUFA: maggior è il tempo impiegato a chiudere la trincea e maggiore è la perdita dei PUFA. L’apertura del silos aumenta l’ossigenazione dello stesso, innesca l’attività batterica, in particolare la lipossigenazione con riduzione dei PUFA.
Il ricercatore poi ricorda che il C 18:3 nel latte è presente sotto la forma alfa e gamma e solo la prima è un omega-3 mentre la seconda è un omega-6.
Ricorda che se maggiore è la sostanza secca alla raccolta, minore è la composizione in omega-3 (forma alfa), però è maggiore il latte prodotto. Questo conferma che gli omega -3 nella razione se non protetti, come tutti gli acidi grassi insaturi, interagiscono con i cellulosolitici diminuendone il numero e creando una naturale sub-acidosi che può ridurre sia la produzione che il grasso nel latte.
Il secondo relatore, Sterk, sempre dell’università di Wageningem, spiega l’esigenza che ha l’alimentazione umana di ridurre l’assunzione di grassi saturi a vantaggio di quelli insaturi.
Nelle bovine da latte, notevoli differenze esistono tra i grassi ingeriti ( per lo più insaturi ) e quelli che lasciano il rumine ( per lo più saturati dallo stesso ).
Scopo della ricerca è quello di aumentare la quantità di acidi grassi insaturi presenti nel latte, ciò può avvenire alterando il profilo ruminale, aumentando il by-pass degli insaturi della dieta, evitando o riducendo parzialmente la bioidrogenazione ruminale.
In un primo studio si evince che diverse fonti di grasso apportate in diverse forme, possono alterare il profilo degli acidi grassi del latte. La forma protetta, per lo più su film lipidico è in grado di superare il rumine e di variare la composizione del latte.
Un secondo studio, valutava differenti tecnologie e trattamenti chimici sull’olio di lino per verificarne il by-pass degli acidi grassi. Solamente il trattamento con la formaldeide era in grado di diminuire la bioidrogenazione ruminale degli acidi grassi del seme di lino.
In conclusione, il profilo degli acidi grassi del latte può essere alterato dalla composizione del grasso somministrato in quantità e qualità e dal rapporto foraggio/concentrati della dieta.
Difatti se la razione è troppo alta in zuccheri fermentescibili si avrà una parziale acidificazione del rumine ed un conseguente aumento della bioidrogenazione ruminale.
La terza relazione era tenuta da Van Rast docente presso l’università di Gent. La sua proponeva un originale metodo per ridurre la lipolisi e l’ossidazione degli acidi grassi insaturi dei foraggi durante l’insilamento.
Difatti i foraggi insilati presentano minor quantità di PUFA rispetto ai corrispondenti foraggi freschi. Ciò è dovuto ad una perdita di acido linolenico ( per ossidazione ) e lipolisi durante l’insilamento. Questo porta ad una diminuzione dei trigliceridi con un conseguente aumento degli acidi grassi liberi negli insilati ed ad una loro più veloce bioidrogenazione a livello ruminale ( è anche per questo che può calare il grasso nel latte nel momento in cui si cambia la trincea?). Questo spiega la scarsa quantità di PUFA nel latte e nella carne bovina.
Dai suoi studi si evince che il trifoglio incarnato rispetto al loietto ed al trifoglio ladino protegge i suoi acidi grassi insaturi dalla lipolisi durante l’insilamento e dalla bioidrogenazione ruminale. Questo è dovuto all’effetto dei polifenoli rossi contenuti nel trifoglio incarnato.
Ciò è spiegabile attraverso tre ipotesi. La prima consiste nel blocco dell’enzima deputato alla lipolisi ed alla bioidrogenazione mediante la formazione di un complesso protein-fenolo; la seconda attraverso una microincapsulazione naturale dei grassi presenti in trifoglio incarnato così come avviene nei cloroplasti; la terza prevede un blocco delle lipasi per formazione di un complesso tra chinone e lipidi.
La quarta relazione, di Jacobs ricercatore presso l’animal nutrition group di Wageningem, proponeva un altro metodo di controllo e riduzione della bioidrogenazione ruminale.
La quantità di acidi grassi insaturi del latte è dovuta alla quantità di insaturi della dieta, al grado di bioidrogenazione ruminale, ed alla attività della stearoilCoa desaturasi, ( SCD) enzima presente nella ghiandola mammaria. Questo è un enzima endoplasmatico che è in grado di introdurre un cis doppio legame tra il carbonio 9 ed il 10 in molti acidi grassi. Il substrato preferenziale è il C18:0 ed in misura minore il C16:0 che sono convertiti in C18:1 cis-9 e C16:1 cis-9. Inoltre SCD può anche produrre cis-9, trans-11 acido linoleico coniugato ( CLA ) dalla desaturazione di C18:1 trans-11. L’isomero CLA è stato associato con numerosi benefici per i consumatori come prevenzione dell’arteriosclerosi, ipertensione, differenti tipi di cancro.
Scopo di questa ricerca era di trovare delle relazioni tra acidi grassi presenti nella dieta e regolazione genica della SCD al fine di incrementarne la produzione a livello di mammella. Diverse miscele di acidi grassi furono apportate alle bovine in sperimentazione. La produzione di latte e la qualità dello stesso non erano influenzati dai trattamenti. L’espressione genica della SCD era più bassa con la dieta con olio di soia rispetto a quella con colza o lino e questo si rifletteva in un latte con minor contenuto di acidi grassi insaturi.
In un altro esperimento, in vitro, cellule di ghiandole mammarie erano addizionate con acido acetico, BHBA, acido palmitico, stearico, oleico, trans vaccenico, linoleico, alfa-linolenico per valutare l’espressione genica di SCD e di PPaR. SDC era aumentata da acido acetico ( come già detto prima, importanza di razioni con più fibra e con meno zuccheri fermentiscibili ) e ridotta da acido oleico, linoleico ed alfa linolenico, mentre i PPaR non mostravano significative differenze tra i diversi trattamenti.
L’acido acetico è in grado di aumentare la desaturazione degli acidi grassi e la sintesi ex-novo degli stessi all’interno della ghiandola mammaria.
Quindi può essere concluso che LCFA saturi hanno scarsi effetti sulla SCD, mentre LCFA insaturi inibiscono l’espressione genica della SCD. Questo è direttamente proporzionale al numero di doppi legami. Per aumentarne l’espressione genica di SCD deve essere limitato al massimo l’apporto di LCFA ed invece deve aumentare l’apporto di acido acetico .
In parole povere per aumentare la desaturazione degli acidi grassi, bisogna attivare la stearoil Coa desaturasi: ciò si ottiene favorendo la produzione di acido acetico a livello ruminale, apportando razioni con fibra fermentescibile e riducendo l’apporto di amido.
Come già accennato, le relazioni della mattina erano incentrate su come poter migliorare l’acidogramma del latte prodotto dalle bovine: spesso a scapito della produzione.
Sessione II
Le relazioni del pomeriggio, invece, studiavano la possibilità di aumentare la produzione di latte attivando i perossisomi.
La sessione pomeridiana era aperta dalla dott.sa Mach dell’università degli studi di Barcellona. Ricordava il ruolo alimentare dei lipidi nella bovina da latte e sosteneva che il metabolismo dei lipidi nella mammella è controllato a livello della transcrittomica. Vale a dire che alcuni acidi grassi provenienti dalla parziale bioidrogenazione ruminale possono ridurre l’espressione genica di determinati enzimi preposti alla produzione di acidi grassi ed all’attivazione dei PPaRG. Questo può quindi condurre allo sviluppo di metodi per alterare l’acidogramma del grasso ed aumentarne la sua produzione. Inoltre, l’espressione genica associata al metabolismo lipidico può coinvolgere a livello mammario l’attivazione del sistema immunitario, riducendo la suscettibilità alle mastiti delle bovine da latte (vedi anche più avanti Savoini). Si auspica per una corretta interpretazione dei risultati l’utilizzo di un piano di lavoro statistico da lei validato. Tutto ciò l’ha portata a concludere che l’aggiunta di 500 grammi capo giorno di semi di lino in bovine da latte, dà un aumento di produzione, un aumento del grasso e del lattosio del latte, ma non ha effetti sull’attivazione dei recettori dei perossisomi.
La seconda relazione era tenuta dal prof. Savoini, dell’università degli studi di Milano. Ricorda l’importante valore biologico del latte di capra e che ciò è dovuto al suo particolare acidogramma. L’idea è quella di aumentarne ulteriormente le benefiche proprietà arricchendolo in DHA ed EPA, della serie omega-3. Questi acidi grassi sono essenziali nell’uomo, come in tutti i mammiferi, in quanto non producibili dai suoi precursori ( se non in irrisorie quantità ) e presentano importanti proprietà cardio-protettive.
L’aggiunta di grassi alle razioni per animali in produzione, non deve essere considerata solo una importante sorgente di energia: dai lipidi vengono sintetizzati i fosfolipidi, il colesterolo, le prostaglandine ed altri mediatori chimici. Il metabolismo degli acidi grassi, gioca un ruolo importante nelle cellule immunitarie. I più potenti agenti immunomodulatori sono difatti dei PUFA, della serie omega-3 ed esclusivamente DHA ed EPA. Il fegato dei ruminanti ha evidenziato una grande capacità di attivare l’ossidazione degli acidi grassi nei perossisomi a differenza dei roditori. Gli acidi grassi possono nel fegato attivare i perossisomi alla loro ossidazione, aiutando il fegato a far fronte all’enorme flusso di NEFA durante la fase di transizione , prevenendo ed evitando l’accumulo di grasso nello stesso.
Da prove effettuate, si evince che l’aggiunta di EPA e DHA a poligastrici è in grado di aumentare l’attività fagocitaria dei neutrofili e dei monociti modulando la risposta immunitaria. Di contro, questi acidi grassi polinsaturi non sono in grado di influenzare l’espressione genica dei PPaR mentre lo sono nei monogastrici.
L’attivazione dei perossisomi mediante l’espressione genica dei PPaR si ottiene nei ruminanti con l’aggiunta di acido palmitico.
La terza esposizione era della Prof. Van Dorland, dell’università di Berna. Il suo esordio è stato perentorio e fatalista: ALL’INIZIO DELLA LATTAZIONE, LA QUANTITA’ DI ENERGIA E PROTEINA RICHIESTA PER LA PRODUZIONE DI LATTE, NON PUO’ ESSERE SODDISFATTA PERCHE’ L’INGESTIONE E’ INSUFFICIENTE. Quindi è inevitabile che vi sia una mobilizzazione di grasso dai tessuti di riserva: il picco di NEFA si ha come il BHBA intorno ai 20 giorni mentre il picco di lattazione si ha a 50-60 giorni dopo il parto.
Questo è lo scotto ( BURDEN ) da pagare per la produzione di latte. La capacità di adattarsi al BEN è soggettiva: animali che producono in uguali quantità nello stesso ambiente possono non presentare patologie o viceversa chetosi, mastiti, dislocazioni di placenta ecc. Quindi il tutto ha una base genetica.
Scopo della ricerca era di valutare la dinamica della trascrizione genica epatica su diversi soggetti, in medesime condizioni fisiologiche. Si è così effettuata una biopsia epatica su 232 frisone pluripare 3 settimane prima del parto, 4 e 13 settimane dopo il parto.
Da questo immane lavoro è emerso che le vacche che superavano brillantemente il periodo del BEN ( non necessariamente e sempre le più produttive ) erano quelli che avevano i perossisomi attivati mediante la trascrizione dei PPaR. Questo dimostra la validità del metodo e cioè che l’attivazione degli stessi può portare enormi benefici alle vacche da latte.
L’ultima relazione era del dott. Leroy dell’università di Merelbeke (BE). Con molto coraggio, asserisce che l’aggiunta di grassi alle vacche da latte nel primo periodo di lattazione riduce la fertilità delle stesse. Questo perché portano ad un aumento della produzione di latte acuendo il BEN delle stesse, riducendo la dimensione dei follicoli ovarici. Meglio sarebbe apportare questi grassi nello steaming-up al fine di ridurre la mobilizzazione dei grassi.
Ciò ha portato ad un vivace scambio di vedute durante la discussione finale tra Leroy e van Dorland la quale sosteneva che se non vi è possibilità di utilizzare nel giusto modo i grassi di deposito dove può prendere l’energia l’animale?
Questo per far capire lo spirito che ha animato la giornata, caratterizzato da tesi indipendenti, non sponsorizzate ma di elevatissimo livello tecnico e scientifico.